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EU Prize for Cultural Heritage / Europa Nostra Award 2017

Il Progetto ‘Museo Piranesi’

di Pierluigi Panza

vince l’EU Prize for

Cultural Heritage

/ Europa Nostra Award 2017   




La Letteratura italiana del 700 PDF Stampa E-mail
Corsera nazionale Dom, 06/11/2005, pag. 034 Sezione: CULTURA, Redazione: CULTURA Domani, con il «Corriere della Sera», l' undicesimo volume della Letteratura italiana di Cecchi e Sapegno Scandalosi e donnaioli, i poeti d' opera portarono in Europa la lingua italiana Corsera nazionale Dom, 06/11/2005, pag. 034 Sezione: CULTURA, Redazione: CULTURA Domani, con il «Corriere della Sera», l' undicesimo volume della Letteratura italiana di Cecchi e Sapegno Scandalosi e donnaioli, i poeti d' opera portarono in Europa la lingua italiana di: Panza Pierluigi Ci fu un tempo in cui la letteratura non era legata a contenuti spirituali o finalizzata a fornire insegnamenti etico-morali, bensì un giocoso intrattenimento sociale. Quell' epoca venne prima che l' Idealismo e il Romanticismo - e in particolare Friedrich Schelling nella sua Philosophie der Kunst - identificassero nella poesia l' espressione di un genio creatore capace di portare alla luce la verità in maniera intuitiva, e fu la stagione che si consumò nei nobili salotti e nelle corti europee del Settecento. Allora, tra i generi più ricorrenti della letteratura figuravano sonetti e odi d' occasione, carmi redatti per imprese o genetliachi, ma soprattutto versi composti per le rappresentazioni musicali che allietavano le serate galanti. Per il recitar cantando e per l' opera lirica l' italiano era la lingua d' elezione, e proprio grazie ai libretti d' opera divenne conosciuta in mezza Europa. Per questo motivo i poeti del Belpaese erano i più richiesti «intrattenitori» dell' epoca, ed erano dei cortigiani ben stipendiati ma, per dignità di rango, allineati al capo cuoco, all' architetto di corte, al sovrintendente alle stufe o al capo giardiniere Questi lavoratori delle lettere - parenti assai lontani degli ancora attuali cultori dell' «arte pura» che si atteggiano incompresi dalla società - erano, per i nobili di allora, figure non dissimili da quelle che nelle società alfabetizzate e di massa sono, per un telespettatore, gli autori e gli intrattenitori dei programmi televisivi. E come questi, anche quei letterati, talvolta, davano scandalo. Raccontiamo un caso che coinvolse questi poeti-anfitrioni del XVIII secolo, spesso abati al servizio della Chiesa. Il 12 aprile del 1782 morì a Vienna il poeta cesareo (ovvero dell' imperatore) Pietro Trapassi detto il Metastasio, che per cinquant' anni era stato il più grande poeta di corte d' Europa. Per subentrare nel suo ben remunerato incarico si precipitarono al Palazzo imperiale di Vienna molti poeti italiani, celebrati e meno, tra i quali figure come quelle del ballerino-poeta (non era così astruso questo «doppio ruolo») Gastone Boccherini, il librettista Caterino Mazzolà e, soprattutto, gli abati e poeti Lorenzo Da Ponte (1749-1838) e Giovan Battista Casti (1724-1803). Questi ultimi due lottarono per quattro anni (dal 1782 al 1786) alla corte di Giuseppe II per succedere al Metastasio. Erano entrambi abati, come Giuseppe Parini (1729-1799) a Milano, e avevano alle spalle una vita dissoluta: il primo, gran donnaiolo, era stato bandito da Venezia per bestemmie e per aver mangiato prosciutto di venerdì; il secondo era talmente lussurioso da aver contratto la sifilide durante un viaggio in Portogallo. Un po' due Casanova! Per primeggiare l' uno sull' altro imbastiranno nel teatro degli italiani di Vienna un' infinita trama di inganni, maldicenze e vendette; si contesero donne e favori, finché, grazie al connubio con le composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart (per il quale scrisse i libretti delle Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte) Lorenzo Da Ponte primeggiò. Per sei anni fu incontrastato poeta di corte finché, nel 1792 - accusato di plagio, ma anche di un dubbio omicidio - dovette lasciare in tutta fretta Vienna. Al suo posto subentrò Casti, al quale, meno di quattro anni dopo, fu riservata la stessa sorte, per sospetto spionaggio e amicizie repubblicane. Come scrivevano le loro rime questi autori? Erano stipendiati o finanziati ad opera, dunque più producevano e più venivano pagati. Pertanto «copiare» o almeno «ispirarsi» a testi anche coevi di altri non era uno scandalo. Spesso veniva fatto un lavoro di copia-incolla. Casti, ad esempio, dichiarò di aver tratto il libretto del suo Re Teodoro in Venezia in parte dal Candide di Voltaire. Quanto al Da Ponte risentiva assai, diciamo, di Carlo Goldoni (1707-1793), in particolare per due opere oggi dimenticate: Il burbero di buon cuore e La caffettiera bizzarra, opera quest' ultima più che ispirata a La bottega del caffè e a La locandiera. Sgarbi tra scrittori minori, si dirà. Ma non è così. Casti era talmente famoso che uno dei più illustri scrittori dell' epoca, l' abate Parini (quello al quale, ricorda il Foscolo, «A lui non ombre pose / tra le sue mura la città, lasciva / d' evirati cantori allettatrice») scrisse un' invettiva interamente contro di lui. Ecco cosa diceva: «Un prete brutto, vecchio e puzzolente, / dal mal moderno tutto quanto guasto / e che, per bizzarria dell' accidente, / dal nome del casato è detto casto; / che scrive dei racconti, in cui si sente / dell' infame Aretin tutto l' impasto / ed un poema sporco e impertinente / contra la donna dell' impero vasto; / che, sebben senz' ugola è rimaso, / attorno va recitando molesto, / oscenamente parlando col naso; / che dagli occhi, dal volto e fin dal gesto/ spira l' empia lussuria ond' egli è invaso, / qual satiro procace e disonesto:/ sì, questo mostro: questo / è la delizia de' terrestri numi. / Oh che razza di tempi e di costumi». Invidia del Parini a parte (che scrisse anche il libretto della prima opera diretta da Mozart a Milano, l' Ascanio in Alba, appositamente composta ed eseguita in occasione della festa di nozze tra l' Arciduca Ferdinando d' Asburgo e Maria Beatrice d' Este del 16 ottobre 1771), Casti venne ricevuto, esule a Parigi, dai nostri maggiori letterati dell' epoca: i nuovi Omero, Ippolito Pindemonte e Vincenzo Monti. Naturalmente, quella descritta, come mostra il volume della Letteratura italiana Cecchi-Sapegno, non fu l' unico modo di essere letterati e di far poesia nel secondo Settecento. Ma anche nel caso di un poeta tragico come Vittorio Alfieri, la sua «conversione» del 1775 alla letteratura avvenne dopo dieci anni di «viaggi e di dissolutezze». Fu solo il successo di Cleopatra a spingerlo alla carriera di scrittore e a comporre le sue varie tragedie, dal Saul a Maria Stuarda Due componenti, però, accomunarono quasi tutti gli scrittori dell' epoca. La prima fu quella del viaggio: servendo molte corti, condussero una vita da veri europei. L' altra fu quella dell' autobiografia (nella quale si applicarono Goldoni, Alfieri, Da Ponte, Casanova ). Molti si congedarono dal mondo scrivendo inattendibili e agiografiche memorie di se stessi.
 
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